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La prededucibilità dei crediti sorti in occasione o in funzione della realizzazione degli accordi di ristrutturazione dei crediti


La vigente disciplina degli accordi di ristrutturazione è il risultato di numerosi interventi del legislatore che si sono succeduti a partire dal 2005, anno in cui, con il l. n. 35 del 2005 (convertito nella l. n. 80 del 2005) l’istituto è stato introdotto nell’ordinamento.

La questione centrale relativamente a tale istituto attiene alla loro natura giuridica: se si tratti cioè di un patto stragiudiziale avente natura contrattuale ovvero di un istituto concorsuale.

Dalla soluzione che si dà alla questione dipende quella di rilevanti questioni, quali, principalmente la prededucibilità o meno nell’eventuale procedura concorsuale successiva dei crediti sorti in occasione e in funzione della realizzazione degli accordi e la consequenzialità o meno della procedura per gli accordi rispetto alle procedure concorsuali e quindi la determinazione del periodo rilevante ai fini delle revocatorie fallimentare (attualmente previste agli articoli 64, 65, 67, primo e secondo comma e 69 L. fall.).

Secondo la tesi c.d. “autonomista”, cui aderiscono la giurisprudenza e la dottrina largamente prevalenti1, agli accordi di ristrutturazione va attribuita natura esclusivamente negoziale, non potendo in alcun modo gli stessi essere considerati una forma di concordato semplificato. Gli argomenti portati a sostegno di questa tesi sono in sintesi i seguenti:

  • l’art. 182-bis L. fall. non prevede una fase di ammissione alla procedura da parte dell’autorità giudiziaria, con relativa nomina di organi concorsuali di vigilanza e controllo, né è prevista una qualunque forma di controllo giudiziario nella fase esecutiva degli accordi;
  • gli accordi di ristrutturazione dei debiti possono derogare al principio della par condicio creditorum che informa tutte le procedure concorsuali e non devono necessariamente avere come oggetto l’intero patrimonio dell’imprenditore in crisi, potendo quest’ultimo mettere a servizio del debito da ristrutturare anche solo una parte dei propri beni.
  • l’omologazione dell’accordo non ha alcun effetto nei riguardi dei creditori non aderenti,  a eccezione della dilazione di centoventi giorni prevista dall’art.184 L. fall. per il pagamento dei loro crediti, a differenza di quanto accade per l’omologazione del concordato che vincola anche la minoranza dissenziente.

Corollario della tesi c.d. “autonomista”, è l’esclusione della prededucibilità nella successiva procedura di liquidazione giudiziale dei crediti sorti in occasione e in funzione della realizzazione degli accordi, proprio in quanto avendo essi natura solo contrattuale i loro effetti non possono che essere quelli di un qualunque contratto tra privati, vale a dire limitati alle parti che li hanno stipulati.

Alla quasi totalità della giurisprudenza e alla gran parte della dottrina che affermano sulla base delle considerazioni sopra elencate che gli accordi di ristrutturazione dei debiti vanno qualificati strumenti meramente negoziali, si contrappone una tesi minoritaria2 secondo la quale gli accordi in discorso rappresentano invece un tipo semplificato di concordato preventivo e devono pertanto farsi rientrare tra le procedure concorsuali, con tutti gli effetti che ne conseguono.

Su quali argomenti si fonda la tesi opposta della natura processual-pubblicistica degli accordi di ristrutturazione dei debiti?

La tesi minoritaria evidenzia che l’istituto in discorso, proprio come avviene con il concordato preventivo, si presenta come la combinazione di  un elemento volontaristico che fa capo all’imprenditore e ai suoi creditori e un elemento autoritativo facente invece capo all’autorità giudiziaria.

Un primo argomento viene quindi desunto dal disposto dell’art.182 bis, commi 6 e 7, in forza del quale l’imprenditore durante la fase delle trattative con i propri creditori può presentare istanza al tribunale per ottenere un provvedimento di inibitoria delle azioni esecutive individuali dei creditori. L’istanza deve essere corredata oltre che dalla documentazione di cui all’articolo 161 primo e secondo comma, lettere a), b), c) e d) anche di una proposta di accordo, e della dichiarazione che sulla stessa sono in corso trattative con un numero di creditori che rappresenta almeno il sessanta per cento dei crediti.

Nel caso l’imprenditore in crisi eserciti questa facoltà si apre quindi una fase “giudiziaria” in cui il tribunale dovrà effettuare un controllo prognostico circa la “fattibilità” della proposta di accordo depositata con la conseguenza che la decisione del tribunale, sia essa di accoglimento o di rigetto sull’istanza di inibitoria andrà necessariamente a influenzare anche la prosecuzione delle trattative.

Altro, rilevante, argomento portato a sostegno della tesi processual-pubblicistica è desunto da una delle principali modifiche apportate alla disciplina dell’istituto dal d.l. 83/2012, che ha riconosciuto all’imprenditore che abbia presentato una domanda di concordato in bianco la facoltà di approntare, sempre entro il termine assegnato dal tribunale, il piano e la proposta concordataria oppure, in alternativa, di trattare per raggiungere un accordo di ristrutturazione con i creditori che rappresentino il sessanta per cento dei debiti3.

Secondo i sostenitori della tesi che qualifica gli accordi di ristrutturazione come sottotipo di concordato, la previsione di cui al 161, comma 6, L.f. denuncia che, almeno nella visione del legislatore, concordato preventivo e accordi di ristrutturazione dei debiti sono strumenti omogenei; la loro “interscambiabilità” risulta inoltre anche dall’articolo 182-bis, comma 8, L. fall. laddove si consente al debitore che abbia presentato al tribunale l’istanza di inibitoria delle azioni individuali dei creditori prevista dal comma 6 nell’ambito dell’iter per la formalizzazione di un accordo di ristrutturazione, di depositare una domanda di concordato preventivo.

La questione della natura giuridica degli accordi in discorso dovrà essere sicuramente rivalutata dalla giurisprudenza a seguito delle modifiche apportate alla stessa dal Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza: il CCI ha infatti conservato l’istituto modificandolo e integrandolo in una prospettiva di una loro rivitalizzazione attraverso la previsione sia dei c.d. accordi agevolati, sia possibilità di estenderne l’efficacia anche a creditori non aderenti appartenenti a categorie omogenee (fermo restando il diritto dei creditori non aderenti di opporsi all’omologazione) alle seguenti condizioni:

  1. i creditori aderenti devono  rappresentare almeno il 75% del totale dei crediti appartenenti alla medesima categoria;
  2. l’accordo raggiunto preveda la prosecuzione dell’esercizio dell’attività imprenditoriale.

1Cfr. J. Paoloni, La natura prevalentemente privatistica degli accordi di ristrutturazione dei debiti. Nota a Tribunale di Reggio Emilia, Sezione Fallimentare, 19 ottobre 2017, n. 5616., in «Riv. dir. banc., dirittobancario.it», 47, 2018 e autori ivi citati.

2Cfr. P. Valensise, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge fallimentare, in «Le nuove leggi del diritto e dell’economia», diretto da M. Sandulli e V. Santoro, Giappichelli, Torino, 2012.

3Art.161, comma 6, L.fall.: «[…] Nello stesso termine […fissato dal giudice, compreso fra sessanta e centoventi giorni e prorogabile, in presenza di giustificati motivi, di non oltre sessanta giorni], in alternativa e con conservazione sino all’omologazione degli effetti prodotti dal ricorso, il debitore può depositare domanda ai sensi dell’articolo 182-bis, primo comma».


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